Altro articolo che nasce dallo tsunami mediatico scatenato dai 600 genitori di Imola nel mese di aprile 1980 (post relativo), durante il quale praticamente tutti gli organi di stampa si occuparono di cartoni animati giapponesi, evento che penso non si sia mai più ripetuto in tutto il resto della travagliata storia d'Italia... e nel 1980 i problemi non mancavano mica...
Questo dimostra che la tendenza del giornalismo italico a farsi prendere dall'isterismo collettivo, non riuscendo (tranne qualche caso isolato) ad analizzare un problema in maniera un minimo razionale, non è una piaga causata dalla superficialità dei social-media, ma è sempre stata insita nel sistema, e che il web ha solo amplificato.
In pratica siamo sempre stati un paese di peracottari, a tutti i livelli, e non siamo mai migliorati...
Il quotidiano "Il Tempo" era di posizioni conservatrici, non per nulla in questo periodo lo dirigeva Letta zio. Non che i giornali di sinistra trattassero meglio Goldrake e Mazinga, vigeva un certo compromesso storico su questo argomento, lo specifico a beneficio di eventuali lettori più giovani.
Indipendentemente dall'inclinazione politica de "Il Tempo" l'articolo è interessante sia per il suo contenuto che per la sua ubicazione nel quotidiano, cioè la terza pagina. Quindi, almeno in via teorica, non un articolo "usa e getta", scritto tanto per riempire delle colonne vuote, ma un approfondimento culturale.
Un processo a Mazinga, e come ogni buon processo c'era l'accusa e la difesa.
Io mi son sempre chiesto perché nessun direttore, caporedattore o un singolo giornalista non avesse avuto l'elementare iniziativa di interpellare un giapponese per avere qualche informazione di prima mano su questi "cartoni animati giapponesi", sarebbe dovuta essere una scelta consequenziale alle critiche. Visto che era un argomento sconosciutissimo a tutti, e tutti ne scrivevano a vanvera lo sesso, perché non sentire, non dico un mangaka o un regista di anime, ma almeno un cittadino del Sol Levante a cui fare uno straccio di domande?
Alla fine nella redazione de "Il Tempo" qualcuno ci arrivò, e venne interpellato il giornalista nipponico (corrispondente a Roma), appassionato di fumetti: tal Kikuro Takaghi.
Ecco, non è che si parta bene, perché oso immaginare che il cognome non fosse Takaghi, ma Takagi.
Ho trovato sul web un documento della Presidenza della Repubblica del luglio 1980:
https://archivio.quirinale.it/diari-pdf/1980_07_16-07_30-PE.pdf
Appunto... il giornalista giapponese si chiamava Kikuro Takagi, pronunciato "Tagaghi", ergo Donata Aphel non si pose il problema di riportarlo nella sua forma corretta, ma lo scrisse come lo sentiva pronunciare >_<
Il corrispondente a Roma lavorava per lo Yomiuri Shimbun, ed evidentemente non si vergognava di essere un lettore di "fumettologia giapponese"... "fumettologia giapponese" T_T
Io mi rifiuto di credere che durante il colloquio tra i due colleghi, quello nipponico non abbia neppure una volta pronunciato il termine "manga", impossibile... per la giornalista sarebbe stato un piccolo scoop poter informare il pubblico sul corretto nome che avevano i fumetti giapponesi, ma probabilmente era chiedere troppo.
Sul web si trova qualche info su Kikuro Takagi, ma nessuna foto:
http://www.eric-goldscheider.com/id89.html (verso la fine del post)
"One of the people most interested in Kades' comments was Kikuro Takagi, a senior editor of Yomiuri Shimbun--the largest circulating newspaper in the world. Takagi lives in New York City and he is among those who trekked to Heath to seek a comment of the new draft constitution his newspaper is promoting. Kades refused to even read it in his presence".
Come difensori, oltre a Kikuro Takagi, venne assoldato Vanni Angeli, direttore dell'emittente "Quinta Rete" di Roma, che non lesinava i cartoni animati giapponesi nel suo palinsesto.
L'accusa, invece, oltre allo scritto di Emilio Servadio ("Ossessione meccanica"), poteva contare sul tono non amichevole di Donata Aphel, che mi pare di intuire non digerisse molto gli anime.
Questa la si può considerare un'altra occasione persa, la giornalista avrebbe potuto, nel momento di maggiore virulenza della polemica, stroncare la balla degli anime fatti al computer, oppure dell'invenzione che i giapponesi creavano questi cartoni animati per venderli in Europa.
Magari poteva rivelare che in Giappone ogni anime aveva un target di età ben specifico, per evitare di impressionare i piccoli telespettatori, e che tante delle polemiche italiche si sarebbero potute evitare rispettando il medesimo principio.
"Mazinga, lo sai che ci sono bambini ansiosi di svitarsi polpacci e lanciarli su orridi nemici lunari dalla facce di cedro spremuto?".
Volevo tranquillizzare Mazinga, l'idea esposta dalla giornalista non mi ha mai neppure sfiorato...
E questa era colei che doveva perorare la difesa!!! ^_^
Da notare che non viene citata la testata per cui lavorava Kikuro Takagi, "un quotidiano di Tokio", peccato che lo Yomiuri Shimbun probabilmente vendesse più copie di tutti i quotidiani italici messi assieme...
Hai per le mani qualcuno che conosce la materia della "fumettologia giapponese" animata e gli poni tre domande in croce?! >_<
Comunque un minimo il giornalista nipponico qualche informazione riesce a darla, ma proprio per caso... chissà quanto di quello che disse venne pubblicato.
Si toglie spazio ad un esperto del settore, proveniente dalla patria del contendere, per concederlo ad uno che, legittimamente, pensava solo a vendere un prodotto che gli faceva fruttare soldi, senza saperne nulla in concreto ^_^
Mentre la difesa, cioè il giornalista dello Yomiuri Shimbun, ha potuto contare solo su tre domande, per un totale di circa di una colonna e mezza su tre. All'accusa, impersonata dallo psicologo Emilio Servadio, venivano lasciate disponibili a suo piacimento tutte e tre le colonne!
Par condicio!!!
Il bello è che per metà del suo scritto Emilio Servadio assolve Mazinga sia dall'essere violento, non più delle fiabe o di Topolino, ed anche dall'accusa di spaventare i bambini!
Cosa rimane?
La lunga esposizione dei bambini ai cartoni animati giapponesi, ma giustamente lo psicologo fa notare che sarebbe bastato mettere un limite al tempo dedicato a questi programmi di provenienza nipponica da parte dei genitori.
Come critiche restavano la ripetitività delle scene e la disumanizzazione dei personaggi.
Con la rassicurazione finale che "non è il caso di fare un dramma delle trasmissioni televisive in discorso" ^_^
In pratica, alla fine, è stata più tranquillizzante l'accusa che la difesa!
Un processo kafkiano? :]