TITOLO: "Il libro nella pancia del video - Il bambino lettore nell'era dell informatica"
AUTORE: autori vari
CASA EDITRICE: Ediesse
PAGINE: 344
COSTO: 10€
ANNO: 1986
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': mercatini oppure on line
CODICE ISBN:
All'interno di questo saggio c'è un contributo dal titolo "L'ascesa dei nippon cartoon" ad opera di Alfredo Castelli e Gianni Bono, autori nel 1983 di "If, speciale Orfani e Robot" e nel 1985 di "Kodansha Comic Catalog, discover the world of japanese manga". Già nel 1983 nel dossier presente in "if" i due autori smentivano categoricamente che i cartoni animati giapponesi fossero fatti al computer, ma la loro presa di posizione non fece molta presa sui giornalisti italici. Quindi ero molto curioso di leggere le loro considerazioni nel 1986 in questo "L'ascesa dei nippon cartoon", di cui leggevo in alcune bibliografie, il cui titolo, però, non dava mai riscontri, pareva essere un saggio fantasma. Questo solo perché non era il titolo di un libro, ma quello di un contributo all'interno di uno scritto che conteneva più analisi. Infatti le 344 pagine contengono gli atti dell'omonimo convegno svoltosi a Roma (località Ariccia) il 26 e 27 aprile 1985, con ben 37 (vedi indice alla fine del post) diversi interventi inerenti il mondo televisivo del bambino, che spaziavano dal computer ai videogiochi, dai fumetti allo sport, passando, ovviamente, per i cartoni animati, tra cui quelli giapponesi.
Come sempre io mi sono focalizzato solo sui contenuti inerenti l'animazione giapponese in Italia, nella mia ricerca della "pre-saggistica sugli anime dal 1978 ai primi anni 90".
Il saggio fu pubblicato nel 1986, ma riprendeva le relazioni del convegno, alcune di queste neppure riviste dai relativi autori, come quella di Luciano Staffa (dirigente Rai) sui "Cartoni animati made in Italy", in cui lui fa riferimento direttamente all'intervento di Castelli e Bono, come si si stesse leggendo una trascrizione da una registrazione audio/video.
Altri interventi furono rivisti, ma direi abbastanza in maniera superficiale, come farò notare più sotto, non rendendosi conto che in alcuni punti del libro si affermavano dei concetti ed in altri l'esatto opposto...
Ad oggi ho recuperato 15 libri (con questo) che trattarono in varia misura e profondità di analisi l'argomento "cartoni animati giapponesi":
Topolino e poi, cinema d'animazione dal 1888 ai nostri giorni (1978)
Da Cuore a Goldrake, esperienze e problemi intorno al libro per ragazzi (1980)
La Televisione - Come si producono come si guardano le trasmissioni tv in Italia e nel nel mondo, le reti pubbliche e private (1980)
Mamma, me lo compri? Come orientarsi tra i prodotti per bambini (1980)
Capire la TV (1981)
Il ragazzo e il libro: corso di aggiornamento (1981)
L'alluvione cine-televisiva, una sfida alla famiglia alla scuola alla chiesa (1981)
TV e cinema: Quale educazione? (1982)
Fare i disegni animati - Manuale didattico di cinema d'animazione (1982)
La camera dei bambini – Cinema, mass media, fumetti, educazione (1983)
Guida al cinema di animazione - Fantasie e tecniche da Walt Disney all'elettronica (1983)
Il bambino e la televisione, a cinque anni solo con Goldrake (1985)
Fantascienza e Educazione (1989)
Il bambino televisivo, infanzia e tv tra apprendimento e condizionamento (1993)
Il contributo del duo Castelli e Bono riprende in realtà quello che scrissero nel "if" del 1983, quindi direi nulla di nuovo, se non il fatto positivo che i due giornalisti (ri)diedero delle informazioni realistiche sul mondo dell'animazione giapponese e sulle dinamiche che li videro invadere il Bel Paese nel 1978 con Heidi.
Ribadisco, il 7 febbraio 1978, non il 1976:
La prima puntata di Heidi - 7 febbraio 1978 (non 1976)
Si nota da questi piccoli particolari che ai tempi le fonti sugli anime erano veramente poche, ne bastava una errata in origine (come quella dell'uso del computer...) per far sì che l'inesattezza si propagasse senza sosta. La datazione errata della prima puntata di Hedi la si legge spesso negli scritti linkati sopra, probabilmente tutti influenzati dall'if "Orfani e robot" del 1983.
Ho trovato molto curioso il fatto che i due autori a fronte di una ottima informazione rilasciata su anime a manga, dessero, invece, un giudizio assai negativo su tali prodotti (pagina 172):
"Ma non vogliamo improvvisarci difensori d'ufficio di un prodotto che, per sua natura o per come è stato diffuso costituisce comunque un grave pericolo.
Ci piacerebbe, però, se questa relazione fosse il primo passo verso una critica obiettiva di un'opera di ingegno che, tutto sommato, nessuno ancora conosce a fondo".
Pare quasi che i due avessero timore di passare per difensori dei cartoni animati giapponesi, rischiando di essere magari messi al rogo dall'uditorio, quindi ne confermavano la pericolosità, seppure forse dovuta ad una errata diffusione, e ne auspicavano una maggiore conoscenza per evitare giudizi superficiali.
Ma allora perché non difenderli fino in fondo?
I due, oltre a citare il termine "man-ga" e a spiegarne il significato, ribadiscono che le serie animate giapponesi viste in Italia non erano prodotte per invadere il mercato estero, ma a solo uso interno. Ovviamente venivano vendute anche all'estero, altrimenti non noi le avremmo mai viste, ma non era lo scopo iniziale di una serie pensata per attrarre il giovane telespettatore nipponico, non quello europeo.. i robottoni non vestivano armature da samurai o usavano armi da samurai per far piacere a qualche bambino appassionato dei film di Akira Kurosawa ^_^
Il contributo di Mirco Pieralisi era posto prima di quello di Castelli e Bono, ma tratta gli anime solo in tre pagine.
Il tema era interessante, l'educazione sentimentale proposta dalla televisione, quindi pubblicità, telefilm statunitensi, e cartoni animati, quindi anche anime:
Jenny la tennista; La stella della Senna; Creamy; Lady Georgie; Lady Oscar.
Dalla prima pagina passo direttamente alla 133, dove sono trattate le serie nipponiche.
Direi che il giudizio dell'autore pare sostanzialmente positivo, quindi dal punto di vista sentimentale gli anime non erano così diseducativi.
Il contributo di Luciano Staffa è interessante, oltre per le citazioni inerenti gli anime, in quanto nella sua veste di dirigente Rai si occupava proprio dell'acquisto dei cartoni animati giapponesi, quindi spiegò la totale impossibilità di avere serie animate italiane della medesima durata di quelle giapponesi.
Si potrebbe obbiettare che se la Rai avesse scucito tanti soldi, le serie italiche si sarebbero prodotte, ma per Luciano Staffa erano gli stessi cartoonist italiani a rifiutare la serialità, vista come un appiattimento della loro opera artistica.
Per dimostrare che la Rai comunque coproduceva serie italiane con il Giappone, oltre a nominare "Sherlock Holmes", e non "l fiuto di Sherlock Holmes"... tira in ballo la serie che stavano preparando con la TMS: "Reporte Blu".
Non conoscevo assolutamente la serie, che in realtà si intitola "Reporter Blues", e che venne ultimata e trasmessa solo non pochi anni dopo, addirittura nel 1992...
Da notare che Staffa probabilmente parlò poco dopo Castelli e Bono, visto che conferma che i cartoni animati giapponesi non erano fatti al computer.
Il quarto ed ultimo contributo che riporto è quello di Anna Leonardi sulle pubblicazioni italiane inerenti Candy Candy.
Leggendo questo focus si potrebbe immaginare, e probabilmente chi partecipò al convegno lo fece, che le due autrici del manga di "Candy Candy" fossero sorelle, e forse ai tempi si sentivano come sorelle, ma non lo erano di sangue... infatti si può leggere che "... il cartone animato è tratto dal fumetto di Mizuki e Yumiko Igarashi..."
Ok, si confondono un po' i nomi ed i cognomi, ma nel 1985 ci poteva stare che non si sapesse che in Giappone si riporta prima il cognome, ma alla povera Kyoko Mizuki, prima che le sottrassero i proventi della sua opera, in Italia le avevano sottratto l'identità :]
La cosa più assurda è che, dove a pagina 174 del libro si spiegava con dovizia di particolari che i cartoni animati NON erano fatti con l'ausilio del computer, qui a pagina 317 si legge:
"Realizzata con la tecnica dell'animazione digitalizzata (che si avvale dell'elaboratore elettronico per la collocazione dei disegni sui diversi sfondi), Candy Candy supplisce ad una grafica ripetitiva ed omogeneizzante con una trama densa di avvenimenti e colpi di scena... etc etc"
Magari Anna Leonardi espose la sua relazione prima di Castelli e Bono, e quindi apprese di aver detto una baggianata solo a frittata fatta, ma dopo aver fatto la brutta figura al convegno, perché fargliene fare una seconda in questo saggio?
Non si potevano semplicemente omettere quelle poche righe?
I 17 mesi intercorsi tra il convegno e la pubblicazione del saggio non furono abbastanza perché qualcuno notasse la grave incongruenza, oppure Anna Leonardi pretendeva di aver ragione lei? :]
Misteri dell'editoria...
L'indice con i tanti argomenti trattati nel convegno.
Data, luogo ed organizzatori del convegno e data di pubblicazione del saggio, tra le due date passano 17 mesi.